ESAMI DI COSCIENZA
UNA CONFESSIONE COME DIO COMANDA
LA DOTTRINA CATTOLICA SECONDO L'INSEGNAMENTO DEL CONCILIO DI FIRENZE (1438-1445)
Confessarsi oggi è cosa alquanto rara. Fare una confessione e non uno sterile colloquio cosa rarissima. Confessarsi bene cosa quasi del tutto inesistente. Vediamo perché.
Il Concilio di Firenze, primo Concilio cattolico che formulò una dottrina sistematica e completa sui sette sacramenti e il loro contenuto, a proposito del sacramento della penitenza dà un insegnamento tanto sobrio ed essenziale quanto chiaro ed esaustivo.
“Il quarto sacramento è la penitenza, di cui – per così dire – gli atti del penitente sono la materia, distinti in tre gruppi: il primo di essi è la contrizione del cuore, che consiste nel dolore del peccato commesso accompagnato dal proposito di non peccare in avvenire. Il secondo è la confessione orale, nella quale il peccatore confessa integralmente al suo sacerdote tutti i peccati di cui ha memoria. Il terzo è la penitenza per i peccati, secondo quanto stabilisce il sacerdote. Si soddisfa a ciò specialmente con la preghiera, il digiuno e con l’elemosina. Forma di questo sacramento sono le parole dell’assoluzione, che il sacerdote pronuncia quando dice: ‘io ti assolvo’. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, che può assolvere con autorità ordinaria o delegata dal proprio superiore. Effetto di questo sacramento è l’assoluzione dai peccati” (Denz 1323).
Ho parlato di essenzialità nell’esporre la dottrina accompagnata da chiarezza ed esaustività. In queste poche battute, infatti, è contenuto il cuore della dottrina su questo importantissimo sacramento, rarissimamente celebrato come si deve, soprattutto in considerazione del fatto che la “materia” di esso sono gli atti del penitente e, purtroppo, quasi sempre sono posti in essere in maniera molto lacunosa e imperfetta quando non addirittura totalmente inesistente. Il Concilio usa la perifrasi “per così dire” per far comprendere l’assoluta singolarità della materia di questo sacramento, in cui essa non è un elemento sensibile, ma una serie di atti liberi e personali. Vedremo che il Concilio di Trento, consapevole di questa difficoltà, parlerà di “quasi-materia”. In ogni caso questo significa che se il penitente non pone bene in essere i tre atti (contrizione, confessione e penitenza) che costituiscono la singolare materia di questo sacramento, esso sarà totalmente invalido, inutile, inefficace e anche sacrilego, non meno di come lo sarebbe un battesimo amministrato – mi si perdonino le espressioni – col whisky o una santa Messa celebrata con biscotti e coca cola. Questo significa che se il peccatore che va a confessarsi non prova vero dolore per il peccato commesso, a cui deve essere necessariamente unito il proposito di non peccare più, la confessione è nulla e sacrilega. Questo discorso deve essere ben compreso e meditato dai peccatori abituali o recidivi, che pensano di poter spensieratamente commettere peccato mortale su peccato mortale (e questo vale specialmente per ciò che concerne il sesto comandamento) e poi, saltuariamente, confessarsi (per poter fare la comunione) senza la minima intenzione di correggersi. Era per la carenza di questo essenziale requisito – da lui conosciuto in via soprannaturale – che san Pio da Pietrelcina rimandava la maggior parte dei penitenti senza l’assoluzione sacramentale. Analogo discorso vale per la confessione orale. Innumerevoli sono le confessioni che si riducono ad uno sfogo per problemi di varia natura, ad un vano chiacchiericcio o addirittura, in alcune circostanze, ad una totale assenza nella confessione della benché minima ombra di peccato accusato. E’ gravissimo oltraggio a questo sacramento profanarlo in questo modo. In confessionale si entra per umiliarsi dei peccati commessi e chiederne perdono a Dio, dopo essersi preparati con l’esame di coscienza quotidiano o immediatamente precedente la confessione, lasciando fuori dalla sfera sacramentale tutto ciò che non attiene in senso stretto alle colpe di cui accusarsi per ottenerne la remissione. Innumerevoli sono anche le confessioni in cui il penitente non confessa colpe gravissime perché le ritiene non tali, oppure perché, pur essendone consapevole, teme i rimproveri del sacerdote o si vergogna per la particolare scabrosità di alcuni peccati sommamente ripugnanti o degradanti. Anche in quest’ultimo caso si commette una grave profanazione del sacramento e si esce dal confessionale con l’anima ulteriormente gravata da questa orribile colpa. A volte i penitenti vanno in cerca di qualche confessore compiacente che li scusi o, peggio, li confermi nel male. In questo caso, sempre citando il grande stigmatizzato del Gargano, badino di non illudersi perché l’unica cosa che succede è che si andrà all’Inferno in compagnia di tale arrogante e superbo confessore che pensa di essere più grande di Dio, concedendo dispense o permessi che solo Lui avrebbe il potere di dare! Anche l’ultimo atto è spesso vissuto con leggerezza dai penitenti. La penitenza sacramentale, infatti – che un tempo doveva essere assolta prima di ricevere l’assoluzione – è parte integrante di questo sacramento e deve essere eseguita – sotto pena di peccato mortale (e sacrilegio) – con puntualità e precisione. Se il confessore dà una penitenza consistente in una singola preghiera o opera penitenziale (digiuno o elemosina) essa va adempiuta se possibile immediatamente o almeno il più presto possibile. Se si tratta di opere che devono protrarsi per un certo lasso di tempo, esse vanno eseguite fedelmente secondo le indicazioni del confessore, con puntuale scrupolo, senza darsi facili dispense che possono ordinariamente essere concesse solo dal confessore che ha ascoltato la precedente confessione, salva sempre l’autorità del superiore ecclesiastico. Ricordino i confessori che qualora consti loro con certezza morale che anche uno solo di questi requisiti è totalmente assente, non è loro consentito di impartire alcuna assoluzione, che sarebbe atto temerario e illecito e quindi non sottoscritto da Dio e che renderebbe tali incauti ministri responsabili di peccato mortale dinanzi alla divina giustizia. Anche altre trascuratezze di cui non di rado si lamentano i penitenti (che non sempre sono essenziali, ma che comunque fanno parte del decoro e del rispetto dovuto al sacramento) quali il confessare senza cotta (o camice) e stola, non far recitare l’atto di dolore, non dare alcuna penitenza, avere delle modalità talora eccessivamente confidenziali, sono risolutamente da evitare e da bandire. Per rimettere i peccati degli uomini Gesù Cristo ha versato fino all’ultima goccia di sangue. Tutti, dunque, penitenti e confessori, abbiano grande cura e rispetto per questo sublime e provvidenziale sacramento, di cui tutti abbiamo costante e continuo bisogno.
LA DOTTRINA CATTOLICA SECONDO L'INSEGNAMENTO DEL CONCILIO DI FIRENZE (1438-1445)
Confessarsi oggi è cosa alquanto rara. Fare una confessione e non uno sterile colloquio cosa rarissima. Confessarsi bene cosa quasi del tutto inesistente. Vediamo perché.
Il Concilio di Firenze, primo Concilio cattolico che formulò una dottrina sistematica e completa sui sette sacramenti e il loro contenuto, a proposito del sacramento della penitenza dà un insegnamento tanto sobrio ed essenziale quanto chiaro ed esaustivo.
“Il quarto sacramento è la penitenza, di cui – per così dire – gli atti del penitente sono la materia, distinti in tre gruppi: il primo di essi è la contrizione del cuore, che consiste nel dolore del peccato commesso accompagnato dal proposito di non peccare in avvenire. Il secondo è la confessione orale, nella quale il peccatore confessa integralmente al suo sacerdote tutti i peccati di cui ha memoria. Il terzo è la penitenza per i peccati, secondo quanto stabilisce il sacerdote. Si soddisfa a ciò specialmente con la preghiera, il digiuno e con l’elemosina. Forma di questo sacramento sono le parole dell’assoluzione, che il sacerdote pronuncia quando dice: ‘io ti assolvo’. Ministro di questo sacramento è il sacerdote, che può assolvere con autorità ordinaria o delegata dal proprio superiore. Effetto di questo sacramento è l’assoluzione dai peccati” (Denz 1323).
Ho parlato di essenzialità nell’esporre la dottrina accompagnata da chiarezza ed esaustività. In queste poche battute, infatti, è contenuto il cuore della dottrina su questo importantissimo sacramento, rarissimamente celebrato come si deve, soprattutto in considerazione del fatto che la “materia” di esso sono gli atti del penitente e, purtroppo, quasi sempre sono posti in essere in maniera molto lacunosa e imperfetta quando non addirittura totalmente inesistente. Il Concilio usa la perifrasi “per così dire” per far comprendere l’assoluta singolarità della materia di questo sacramento, in cui essa non è un elemento sensibile, ma una serie di atti liberi e personali. Vedremo che il Concilio di Trento, consapevole di questa difficoltà, parlerà di “quasi-materia”. In ogni caso questo significa che se il penitente non pone bene in essere i tre atti (contrizione, confessione e penitenza) che costituiscono la singolare materia di questo sacramento, esso sarà totalmente invalido, inutile, inefficace e anche sacrilego, non meno di come lo sarebbe un battesimo amministrato – mi si perdonino le espressioni – col whisky o una santa Messa celebrata con biscotti e coca cola. Questo significa che se il peccatore che va a confessarsi non prova vero dolore per il peccato commesso, a cui deve essere necessariamente unito il proposito di non peccare più, la confessione è nulla e sacrilega. Questo discorso deve essere ben compreso e meditato dai peccatori abituali o recidivi, che pensano di poter spensieratamente commettere peccato mortale su peccato mortale (e questo vale specialmente per ciò che concerne il sesto comandamento) e poi, saltuariamente, confessarsi (per poter fare la comunione) senza la minima intenzione di correggersi. Era per la carenza di questo essenziale requisito – da lui conosciuto in via soprannaturale – che san Pio da Pietrelcina rimandava la maggior parte dei penitenti senza l’assoluzione sacramentale. Analogo discorso vale per la confessione orale. Innumerevoli sono le confessioni che si riducono ad uno sfogo per problemi di varia natura, ad un vano chiacchiericcio o addirittura, in alcune circostanze, ad una totale assenza nella confessione della benché minima ombra di peccato accusato. E’ gravissimo oltraggio a questo sacramento profanarlo in questo modo. In confessionale si entra per umiliarsi dei peccati commessi e chiederne perdono a Dio, dopo essersi preparati con l’esame di coscienza quotidiano o immediatamente precedente la confessione, lasciando fuori dalla sfera sacramentale tutto ciò che non attiene in senso stretto alle colpe di cui accusarsi per ottenerne la remissione. Innumerevoli sono anche le confessioni in cui il penitente non confessa colpe gravissime perché le ritiene non tali, oppure perché, pur essendone consapevole, teme i rimproveri del sacerdote o si vergogna per la particolare scabrosità di alcuni peccati sommamente ripugnanti o degradanti. Anche in quest’ultimo caso si commette una grave profanazione del sacramento e si esce dal confessionale con l’anima ulteriormente gravata da questa orribile colpa. A volte i penitenti vanno in cerca di qualche confessore compiacente che li scusi o, peggio, li confermi nel male. In questo caso, sempre citando il grande stigmatizzato del Gargano, badino di non illudersi perché l’unica cosa che succede è che si andrà all’Inferno in compagnia di tale arrogante e superbo confessore che pensa di essere più grande di Dio, concedendo dispense o permessi che solo Lui avrebbe il potere di dare! Anche l’ultimo atto è spesso vissuto con leggerezza dai penitenti. La penitenza sacramentale, infatti – che un tempo doveva essere assolta prima di ricevere l’assoluzione – è parte integrante di questo sacramento e deve essere eseguita – sotto pena di peccato mortale (e sacrilegio) – con puntualità e precisione. Se il confessore dà una penitenza consistente in una singola preghiera o opera penitenziale (digiuno o elemosina) essa va adempiuta se possibile immediatamente o almeno il più presto possibile. Se si tratta di opere che devono protrarsi per un certo lasso di tempo, esse vanno eseguite fedelmente secondo le indicazioni del confessore, con puntuale scrupolo, senza darsi facili dispense che possono ordinariamente essere concesse solo dal confessore che ha ascoltato la precedente confessione, salva sempre l’autorità del superiore ecclesiastico. Ricordino i confessori che qualora consti loro con certezza morale che anche uno solo di questi requisiti è totalmente assente, non è loro consentito di impartire alcuna assoluzione, che sarebbe atto temerario e illecito e quindi non sottoscritto da Dio e che renderebbe tali incauti ministri responsabili di peccato mortale dinanzi alla divina giustizia. Anche altre trascuratezze di cui non di rado si lamentano i penitenti (che non sempre sono essenziali, ma che comunque fanno parte del decoro e del rispetto dovuto al sacramento) quali il confessare senza cotta (o camice) e stola, non far recitare l’atto di dolore, non dare alcuna penitenza, avere delle modalità talora eccessivamente confidenziali, sono risolutamente da evitare e da bandire. Per rimettere i peccati degli uomini Gesù Cristo ha versato fino all’ultima goccia di sangue. Tutti, dunque, penitenti e confessori, abbiano grande cura e rispetto per questo sublime e provvidenziale sacramento, di cui tutti abbiamo costante e continuo bisogno.
In sintesi:
COSE DA NON DIRE E PENSARE:
Ecco una frase che sovente ricorre quando si parla di Confessione:
‐ “lo non mi confesso perché non ho nulla da dire al confessore. Io non ho peccati, perché non ammazzo, non rubo e non faccio male a nessuno”.
In realtà la Parola di Dio ci dice: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. E se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di Gesù un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1Gv 1,8‐10).
Padre Pio è stato un grandissimo Santo, che ha portato sul suo corpo per ben 50 anni le stimmate di Gesù.
Ebbene egli si confessava ogni giorno. Tu pensi forse di essere più santo di lui, dato che non ti confessi mai?
Altra tipica frase:
‐ “Io andare dal prete a fargli sapere i fatti miei? Mai!“
Per la salute del corpo tu non riveli al medico le miserie del tuo corpo quanto c'è di più delicato? Eppure il tuo corpo diventerà polvere … E perché non vuoi fare altrettanto col medico della tua anima, il sacerdote che è ministro di Dio? E qui si tratta della salvezza o della perdizione eterna …
COS’E’ LA CONFESSIONE?
“É il Sangue di Cristo che lava le anime! La sconfitta più grande che ci ha inflitto Dio è il sacramento della Confessione, perché se un' anima in peccato mortale ci appartiene, con una confessione ben fatta, subito ci viene strappata!" (Il demonio a San Nicola di Flue).
Il demonio ha terrore della confessione, quindi fa di tutto per non farci confessare o per farci confessare male. Questo è il punto debole del demonio ed è lì che dobbiamo attaccarlo! Per questo la Madonna ha detto: "Cari figli, confessatevi spesso e confessatevi bene!”
PER CONFESSARSI BENE:
Quando Gesù scese dal monte, un lebbroso gli si prostrò ai piedi dicendo: "Signore, se tu vuoi puoi guarirmi". E Gesù, stesa la mano. lo toccò e disse: "Lo voglio, sii sanato". E subito fu guarito dalla sua lebbra.
Poi Gesù disse al miracolato di presentarsi al sacerdote e di fare l'offerta per la sua purificazione, secondo la legge di Mosè (cfr. Mt 8, 1‐4). La lebbra può essere considerata come figura del peccato. Il lebbroso è il peccatore che ha bisogno di guarire. Come Gesù ordinò al lebbroso guarito di presentarsi al sacerdote, così ha stabilito che l'anima resti guarita solo se il ministro di Dio, a cui ci presentiamo, perdona i peccati a nome
Suo.
É necessario accostarsi alla Santa Confessione, cioè a Dio, con rispetto, con preparazione, con umiltà, Dio così disse a Mosè presso il roveto ardente: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai, è una terra santa!" (Es 3,5).
1. L'esame di coscienza
Fare l'esame di coscienza significa ricercare diligentemente i peccati commessi dopo l'ultima confessione fatta bene. Questa ricerca deve essere fatta evitando ogni fretta e mancanza di attenzione.
2. Dolore dei peccati
Il dolore dei peccati consiste nel provare reale e sincero dolore per le colpe commesse. Il dolore è perfetto se uno sente che ha offeso il Padre che ci ama infinitamente; è imperfetto se nasce dalla paura dei castighi e dell'inferno. È necessario avere dolore di tutti i peccati, sia di quelli mortali (detti così perché danno la morte all'anima) sia di quelli veniali (i peccati meno gravi). Molti creedono che il dolore si riduce nella breve e veloce recita dell'atto di dolore. E’ un errore, Padre Pio piangeva a singhiozzi quando uno non provava dolore nella confessione. E forse con molti di noi farebbe la stessa cosa.
3. Proponimento di non commetterne più
Il proponimento è la volontà decisa a non fare più peccati. Non basta avere una volontà generica di correggersi, ma bisogna essere disposti ad usare tutti i mezzi per evitare i peccati. San Domenico Savio diceva: "Preferisco morire, anziché commettere un solo peccato!". Siamo obbligati a fuggire le occasioni di peccato perché "chi ama il pericolo, in esso perirà" (Sir 3,25).
4. La confessione dei peccati
Consiste nel dire al sacerdote i peccati commessi per averne l'assoluzione. Alcuni dicono che si confessano a Dio direttamente, ma sbagliano perché Gesù non ha mai detto di fare così. Ha dato invece agli Apostoli ed ai loro successori il potere divino di perdonare i peccati dicendo: "A chi voi perdonerete i peccati, saranno
perdonati: a chi non li perdonerete non saranno perdonati" (Gv 20,21‐23).
Chi è in peccato grave non deve ricevere la Santa Comunione senza essersi prima confessato, anche se ne prova un grande dolore. È il caso di chi fa la Santa Comunione in peccato grave e poi va a confessarsi. È meglio non fare la Santa Comunione anziché farla in peccato.
É vivamente raccomandata la confessione frequente anche delle colpe quotidiane (peccati veniali) perché ci aiuta a formare una retta coscienza cristiana, a lottare contro le cattive inclinazioni, ad avanzare nella vita spirituale. Chi volutamente nasconde un peccato grave, non fa una buona confessione e se fa la Santa Comunione in peccato, ricordi che: "Chi mangia e beve indegnamente il Corpo e Sangue di Cristo, mangia e
beve la propria condanna" (1Cor 11, 29).
5. La soddisfazione o penitenza
Bisogna fare il possibile per riparare le proprie colpe. La semplice giustizia umana lo esige. Non basta essere perdonati in confessione, l'obbligo della riparazione dura. Come si fa a riparare, ad esempio un peccato di aborto? Qui ci vuole un pentimento ed una riparazione che duri tutta una vita.
Se non ripariamo i peccati commessi in questa vita, li sconteremo in Purgatorio. Molti cristiani lo sottovalutano. Eppure la Madonna di Fatima, a Lucia che le chiese dove si trovava una sua amica morta, rispose: "Non è con me in Paradiso. È in Purgatorio e ci resterà fino alla fine del mondo". E la Madonna non
dice bugie.
PRIMA DELLA CONFESSIONE:
Cerca un momento tranquillo: mettiti davanti al Crocifisso e prega così:
“Signore Gesù, che sanavi gli infermi e aprivi gli occhi ai ciechi, tu che assolvesti la donna peccatrice e confermasti Pietro nel tuo amore, perdona tutti i miei peccati, e crea in me un cuore nuovo, perché io possa vivere in perfetta unione con i fratelli e annunziare a tutti la salvezza”.
"Vi dico: ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7).
COSE DA NON DIRE E PENSARE:
Ecco una frase che sovente ricorre quando si parla di Confessione:
‐ “lo non mi confesso perché non ho nulla da dire al confessore. Io non ho peccati, perché non ammazzo, non rubo e non faccio male a nessuno”.
In realtà la Parola di Dio ci dice: "Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. E se diciamo che non abbiamo peccato facciamo di Gesù un bugiardo e la sua parola non è in noi" (1Gv 1,8‐10).
Padre Pio è stato un grandissimo Santo, che ha portato sul suo corpo per ben 50 anni le stimmate di Gesù.
Ebbene egli si confessava ogni giorno. Tu pensi forse di essere più santo di lui, dato che non ti confessi mai?
Altra tipica frase:
‐ “Io andare dal prete a fargli sapere i fatti miei? Mai!“
Per la salute del corpo tu non riveli al medico le miserie del tuo corpo quanto c'è di più delicato? Eppure il tuo corpo diventerà polvere … E perché non vuoi fare altrettanto col medico della tua anima, il sacerdote che è ministro di Dio? E qui si tratta della salvezza o della perdizione eterna …
COS’E’ LA CONFESSIONE?
“É il Sangue di Cristo che lava le anime! La sconfitta più grande che ci ha inflitto Dio è il sacramento della Confessione, perché se un' anima in peccato mortale ci appartiene, con una confessione ben fatta, subito ci viene strappata!" (Il demonio a San Nicola di Flue).
Il demonio ha terrore della confessione, quindi fa di tutto per non farci confessare o per farci confessare male. Questo è il punto debole del demonio ed è lì che dobbiamo attaccarlo! Per questo la Madonna ha detto: "Cari figli, confessatevi spesso e confessatevi bene!”
PER CONFESSARSI BENE:
Quando Gesù scese dal monte, un lebbroso gli si prostrò ai piedi dicendo: "Signore, se tu vuoi puoi guarirmi". E Gesù, stesa la mano. lo toccò e disse: "Lo voglio, sii sanato". E subito fu guarito dalla sua lebbra.
Poi Gesù disse al miracolato di presentarsi al sacerdote e di fare l'offerta per la sua purificazione, secondo la legge di Mosè (cfr. Mt 8, 1‐4). La lebbra può essere considerata come figura del peccato. Il lebbroso è il peccatore che ha bisogno di guarire. Come Gesù ordinò al lebbroso guarito di presentarsi al sacerdote, così ha stabilito che l'anima resti guarita solo se il ministro di Dio, a cui ci presentiamo, perdona i peccati a nome
Suo.
É necessario accostarsi alla Santa Confessione, cioè a Dio, con rispetto, con preparazione, con umiltà, Dio così disse a Mosè presso il roveto ardente: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove tu stai, è una terra santa!" (Es 3,5).
1. L'esame di coscienza
Fare l'esame di coscienza significa ricercare diligentemente i peccati commessi dopo l'ultima confessione fatta bene. Questa ricerca deve essere fatta evitando ogni fretta e mancanza di attenzione.
2. Dolore dei peccati
Il dolore dei peccati consiste nel provare reale e sincero dolore per le colpe commesse. Il dolore è perfetto se uno sente che ha offeso il Padre che ci ama infinitamente; è imperfetto se nasce dalla paura dei castighi e dell'inferno. È necessario avere dolore di tutti i peccati, sia di quelli mortali (detti così perché danno la morte all'anima) sia di quelli veniali (i peccati meno gravi). Molti creedono che il dolore si riduce nella breve e veloce recita dell'atto di dolore. E’ un errore, Padre Pio piangeva a singhiozzi quando uno non provava dolore nella confessione. E forse con molti di noi farebbe la stessa cosa.
3. Proponimento di non commetterne più
Il proponimento è la volontà decisa a non fare più peccati. Non basta avere una volontà generica di correggersi, ma bisogna essere disposti ad usare tutti i mezzi per evitare i peccati. San Domenico Savio diceva: "Preferisco morire, anziché commettere un solo peccato!". Siamo obbligati a fuggire le occasioni di peccato perché "chi ama il pericolo, in esso perirà" (Sir 3,25).
4. La confessione dei peccati
Consiste nel dire al sacerdote i peccati commessi per averne l'assoluzione. Alcuni dicono che si confessano a Dio direttamente, ma sbagliano perché Gesù non ha mai detto di fare così. Ha dato invece agli Apostoli ed ai loro successori il potere divino di perdonare i peccati dicendo: "A chi voi perdonerete i peccati, saranno
perdonati: a chi non li perdonerete non saranno perdonati" (Gv 20,21‐23).
Chi è in peccato grave non deve ricevere la Santa Comunione senza essersi prima confessato, anche se ne prova un grande dolore. È il caso di chi fa la Santa Comunione in peccato grave e poi va a confessarsi. È meglio non fare la Santa Comunione anziché farla in peccato.
É vivamente raccomandata la confessione frequente anche delle colpe quotidiane (peccati veniali) perché ci aiuta a formare una retta coscienza cristiana, a lottare contro le cattive inclinazioni, ad avanzare nella vita spirituale. Chi volutamente nasconde un peccato grave, non fa una buona confessione e se fa la Santa Comunione in peccato, ricordi che: "Chi mangia e beve indegnamente il Corpo e Sangue di Cristo, mangia e
beve la propria condanna" (1Cor 11, 29).
5. La soddisfazione o penitenza
Bisogna fare il possibile per riparare le proprie colpe. La semplice giustizia umana lo esige. Non basta essere perdonati in confessione, l'obbligo della riparazione dura. Come si fa a riparare, ad esempio un peccato di aborto? Qui ci vuole un pentimento ed una riparazione che duri tutta una vita.
Se non ripariamo i peccati commessi in questa vita, li sconteremo in Purgatorio. Molti cristiani lo sottovalutano. Eppure la Madonna di Fatima, a Lucia che le chiese dove si trovava una sua amica morta, rispose: "Non è con me in Paradiso. È in Purgatorio e ci resterà fino alla fine del mondo". E la Madonna non
dice bugie.
PRIMA DELLA CONFESSIONE:
Cerca un momento tranquillo: mettiti davanti al Crocifisso e prega così:
“Signore Gesù, che sanavi gli infermi e aprivi gli occhi ai ciechi, tu che assolvesti la donna peccatrice e confermasti Pietro nel tuo amore, perdona tutti i miei peccati, e crea in me un cuore nuovo, perché io possa vivere in perfetta unione con i fratelli e annunziare a tutti la salvezza”.
"Vi dico: ci sarà più gioia in cielo per un peccatore che si converte, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7).